di Antonella Policastrese

Giorno 8 febbraio 2022, la sala consiliare del Comune di Crotone, a detta del giornalista lì presente, era gremita per ascoltare la relazione del super-esperto del progetto “Antica Kroton”, prescelto dal sindaco in tale veste per tentare di spendere il gruzzolo che del progetto medesimo è  dote.

Dote gelosamente custodita da Invitalia, agenzia del Governo per lo sviluppo d’impresa di cui, da circa un ventennio, amministratore delegato è Domenico Arcuri, quello delle mascherine introvabili, dei banchi a rotelle e dei monopattini, icona triste del primo lock-down.

Invece, l’uomo, nativo crotonese, chiamato dal sindaco di Crotone “omonimo” di Frank Sinatra, a guidare il “dream team” del progetto, proviene dalla galassia di Civita, un ente partorito da ambienti radical chic dell’ex Partito comunista con lo scopo sociale di sostituirsi allo Stato nella gestione di musei, siti d’interesse monumentale e quant’altro, del patrimonio  culturale degli italiani, e, oppure lo sarebbe stato, in grado di restituire degli utili alla collettività.

Posto che il progetto “Antica Kroton” da quando se ne parla e per quanto se ne parla, sta invecchiando sempre più, ma senza prendere gli aromi, i sapori, il gusto e l’atmosfera  di un brandy affine per nome: quel “Vecchia Romagna etichetta nera”.

E dunque, poche parole a commento di quanto riportato dai giornali su quella relazione di cui si diceva all’inizio e sulle parole attribuite al relatore: Crotone come Bilbao, con il suo museo sul mare di sotto  e il castello sopra, grazie ai soldi dell’Antica Kroton.

Il che potrebbe essere, anche perché Crotone, in un passato assolutamente felice, consapevolmente goliardico, era assimilata a Lorica, oppure alla Spagna, ma solamente per un paio di funzioni biologiche, il che convien che non si dica…

La tristezza di oggi è invece l’essere goliardici a propria insaputa, perché talune trovate suonano come bestemmie ancorché come idee, propalate in tal senso.

Allo stato dei fatti, è vero che sotto al Castello di Crotone c’è il porto, ma dimenticare che sopra il Castello c’è dell’altro, che non è il cielo azzurro, significa, nella migliore delle ipotesi, esserci  nati a Bilbao e da lì non essersi  mai mossi.

Il che non vuol dire che un museo sotto a un castello ci stia male, anzi, però ricamarci sopra per come sarebbe stato fatto, paragonando la nostra città a Bilbao durante la conferenza dell’8 febbraio scorso, equivale a inscenare del cabaret di pessima qualità.

Ciò in quanto la fortezza crotonese, altrimenti nota come “Castello di Carlo V” non è che abbia avuto mai vita facile negli ultimi due secoli.

Era un posto ideale persino per l’espletamento di bisogni corporei, rifugio di “sciampalé”, e poi, ne vogliamo parlare delle sue finestre sull’universo mondo ? 

Una dava sul mare e l’altra sul balcone delle famiglie del settimo piano di quel palazzo costruito a pochi metri dalle antiche mura e che il castello lo sovrasta di gran lunga.

Ma la cosa imbarazzante nel contrasto tra queste due strutture era solamente il vedere la signora del settimo piano che in cucina spennava la gallina o il marito che beato fumava una sigaretta appoggiato alla ringhiera.

A Bilbao ce l’hanno un castello così ?

E soprattutto: ce l’hanno delle menti e dei cabarettisti di cui Crotone è così ricca ?

Un  dato però è certo: questa città è tragicomica, spesso triste, ricorda le cose del passato siderale a menadito, per esempio come vestiva Pitagora, ma dimentica facilmente quanto appartiene a ciò che  è accaduto pochi anni e addirittura pochi mesi prima.

Che si tratti di Alzheimer in una delle sue forme più severe ?