It’s up to you: tocca a te, tocca a voi. L’incitazione più semplice e immediata che può essere data,
direttamente dalla voce (e che “Voice”…) di Frank Sinatra, magari non rende le cose più semplici,
ma offre il giusto sguardo su uno scenario unico, indimenticabile, come l’atmosfera della città di
New York sa essere. Non tutti sanno dire la distanza esatta di una maratona: molti non addetti ai
lavori, addirittura definiscono “maratona” qualsiasi corsa su strada. Ma probabilmente non esiste
persona che non abbia mai sentito l’iconica dizione di “maratona di New York”. Probabilmente la
quintessenza della corsa, il suo immaginario collettivo.
E probabilmente tale potenza immaginifica è dovuta allo straordinario fascino che la città stessa
evoca, anche in chi non l’ha mai visitata, ma solo al sentito dire, solo al percepito dal cinema o
dalla musica, si ha già la percezione di attraversare streets, avenues, boulevards della “city that
never sleeps”.
Per via di un percorso che prevede dei consistenti tratti in pendenza, i 42 km di una gara neanche
troppo veloce, o per meglio dire “da tempo, da personal best”, sono più votati al godimento della
scenografia, che al cercare la sfida al cronometro: perché non è certo la caccia al tempo, a portare
ben 55mila persone, domenica 6 novembre, nella Grande Mela. Corridori da tutto il mondo, tra cui
oltre 2000 dall’Italia (nazione più rappresentata dopo gli Stati Uniti): anche un giro d’affari
enorme, per garantirsi un pettorale e far parte di un’avventura più che speciale. Nel dettaglio, il
percorso prevede la partenza dal ponte di Verrazzano nel quartiere di Staten Island; quindi si
attraversano altri celebri quartieri della città, dai nomi sentiti e risentiti: Brooklyn, Queens, Bronx,
fino a Manhattan e l’arrivo, liberatorio, a Central Park.
Non è stata esattamente una passeggiata per l’atleta crotonese Luciano Compagnone, che ha
portato il rosso e il blu pitagorici a stagliarsi sull’orizzonte dell’East River: oltre alle condizioni
ambientali anomale, a causa del caldo e dell’umidità che hanno sfiancato in egual misura tutti i
corridori, Compagnone è partito dalla Calabria già consapevole delle complicazioni che avrebbe
trovato sulla strada, per via di un infortunio che lo affligge da un mese e che ne ha minato la
delicata parte finale della preparazione. In queste condizioni incerte, nonostante a lui non
difettino assolutamente forza d’animo e coraggio, un’impresa simile non è scontata per nessuno.
C’è anzi molto alto il rischio di dover alzare bandiera bianca; pertanto è necessario che testa e
cuore si mettano a tirare anche ben oltre dove non arrivano le gambe, per raggiungere l’obiettivo
finale. Un obiettivo raggiunto a pieni voti, seppur con un tempo (4h45) maggiore di quello sperato
in fase di programmazione, ma che vale comunque una prestazione per cui non pochi amatori
metterebbero la firma, anche con due gambe. Un dettaglio, questo, non da poco, su cui
Compagnone non ha potuto fare pieno affidamento, ma che in questa giornata, è riuscito
comunque a rendere secondario. Per i miracoli ci stiamo ancora lavorando, ma stavolta ci siamo
andati piuttosto vicini.